LIMITI AL PIGNORAMENTO DEL CONTO CORRENTE: QUANTO È IL MINIMO VITALE?

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Chiunque percepisce un reddito da lavoratore dipendente o pensione, ha diritto al limite di impignorabilità del conto per esigenze vitali. Detto questo, quale è l’importo per il minimo vitale che non può essere sequestrato?

Il minimo vitale, ovvero, quella quota del conto corrente che non può essere né pignorata né sequestrata e che è pari al triplo dell’assegno sociale. A quest’oggi, l’importo dell’assegno sociale è pari a 460,42 euro, per cui il minimo impignorabile è di 1.381,26 euro.

Ma se si parla di un conto, la cui giacenza è inferiore a questa somma, non è possibile procedere né al pignoramento né al sequestro. Se invece la giacenza è superiore, si pignora l’eccedenza. Esempio: se sul conto vi è una giacenza pari a 1.500 euro, si potrà pignorare la differenza tra 1.500 e 1.381,26, cioè 118,74 euro.

Cassazione: norma, garanzie e casi specie

In questi anni, la Cassazione ha provveduto a dare garanzie al debitore/imputato, affinché avesse a disposizione un minimo vitale impignorabile nel conto corrente, necessario a far fronte alle esigenze di sopravvivenza per sé stesso. Per quanto riguarda invece, il conto corrente di un pensionato, la somma dovuta in caso di debiti viene pignorata direttamente in capo all’Inps. In questo caso, il minimo vitale è pari a una volta e mezzo l’assegno sociale.

Le garanzie appena elencate, si applicano solo ai soggetti con redditi da lavoro dipendente o da pensione. Questo perché la norma si riferisce esplicitamente a loro. Ma, se sul conto confluiscono redditi di natura diversa (ad esempio pigioni per contratti di locazione) queste stesse garanzie vengono spesso disapplicate.

La Cassazione si è trovata a decidere sulla possibilità di garantire il minimo vitale anche a un imprenditore o a un professionista, pur nel silenzio della norma, la risposta è stata comunque affermativa. Ad ogni modo, è di competenza del soggetto imputato dimostrare le necessità che lo stringono e che gli impongono di non poter vivere, se non con una parte dei risparmi in banca. In questi casi, non è previsto un importo determinato del minimo vitale, quindi spetta al giudice determinare l’ammontare della quota non sottoposta a sequestro o pignoramento.

In breve, il principio che esce oggi fuori dalle aule della Suprema Corte è che anche all’imprenditore, al professionista e alle loro famiglie, come previsto per il dipendente, in caso di sequestro va assicurato il cosiddetto minimo vitale. Per questo motivo, è necessario che l’interessato fornisca la prova della situazione patrimoniale e reddituale, onde valutare il limite non vincolabile rispetto al sequestro/pignoramento operato. 

Nel caso di specie, veniva effettuato un sequestro per equivalente sul conto corrente di un commercialista per l’asserito concorso in reati tributari. Secondo l’indagato, il sequestro dei conti lo privava delle risorse necessarie alla vita e alla prosecuzione dell’attività professionale, per la quale doveva remunerare dei collaboratori. La Cassazione ha ritenuto, secondo i principi di proporzionalità e solidarietà sociale, e da ragioni di coerenza rispetto ad altri soggetti (come dipendenti e pensionati), che sia desumibile la sussistenza anche nei confronti di imprenditori e professionisti di un limite all’ammissibilità del sequestro. Il professionista aveva necessità di ricevere i pagamenti dei clienti e disporre di liquidità per l’attività.

Per i giudici, tuttavia, tale esigenza si può soddisfare con l’apertura di un altro conto corrente in cui far confluire i nuovi incassi. Un suggerimento, quest’ultimo, non sempre opportuno. Infatti, se sul primo conto non dovesse esserci liquidità a sufficienza, per soddisfare la misura del sequestro o del pignoramento, nulla escluderebbe la possibilità di estendere la stessa anche ad altri conti.

 

Fonti: La legge per tutti, Business online, Sos tariffe.

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Salvatore e Carlo Iadevaia

Dottori Commercialisti e Revisori dei Conti
Fondatori dello Studio Iadevaia

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