Da quando è iniziata la pandemia da Covid-19, lo smart working ha visto un incremento esponenziale nel nostro Paese, e con esso aumentano anche i quesiti su come affrontare determinati aspetti. Uno di questi aspetti, per il quale ci si è recentemente rivolti all’Agenzia delle Entrate per gli opportuni chiarimenti, riguarda la situazione nella quale il datore di lavoro decide di concedere ai propri dipendenti in smart working dei rimborsi per le spese affrontate nello svolgimento del lavoro da casa. Il quesito posto all’Agenzia delle Entrate è se i rimborsi smart working sono tassati, se cioè fanno reddito e quindi sono soggetti a prelievo fiscale.
La soluzione è stata fornita dalla stessa Agenzia delle Entrate con la risposta n° 314 del 30 aprile.
Necessità di specificità delle spese
Secondo l’amministrazione finanziaria, i rimborsi spese per lo smart working non costituiscono reddito in capo al lavoratore quando sono da considerarsi come spese affrontate nell’esclusivo interesse del datore di lavoro stesso e a patto che siano individuate sulla base di elementi oggettivi. In pratica, è necessaria un’indicazione delle specifiche spese sostenute, non essendo invece sufficiente una generica dizione «rimborso spese generali». In quest’ultima ipotesi, infatti, non essendo certa e identificabile l’uscita economica in capo al lavoratore, le somme erogate in modo onnicomprensivo fanno reddito e sono tassate.
Principio di onnicomprensività: applicazioni ed eccezioni
In base al cosiddetto «principio di onnicomprensività» del concetto di reddito da lavoro dipendente, tutte le somme e i valori corrisposti dal datore di lavoro al lavoratore a qualunque titolo costituiscono, per quest’ultimo, reddito di lavoro dipendente. Tuttavia, come già specificato dall’Agenzia delle Entrate nella circolare 326/E/1997 e nelle risoluzioni 178/E/2003 e 357/E/2007, bisogna escludere dalla base imponibile del reddito del lavoratore tutte quelle somme che, anche se corrisposte dal datore di lavoro, non generano un arricchimento in capo al beneficiario, ma si configurano quale mera reintegrazione patrimoniale di un costo sostenuto nell’esclusivo interesse del datore stesso.
Vi rientrano, ad esempio, le somme erogate dal datore di lavoro al lavoratore per rimborsare i costi dei collegamenti telefonici. Si tratta di somme da non assoggettare a tassazione perché sostenute dal telelavoratore soltanto per raggiungere le risorse informatiche dell’azienda e per poter così svolgere l’attività lavorativa.
Rimborsi smart working non imponibili ai fini Irpef
Possiamo riassumere la questione in due punti fondamentali. Per non essere tassate le spese sostenute dal lavoratore devono essere:
- oggettivamente individuabili;
- sostenute nell’esclusivo interesse del datore di lavoro.
Nel caso in esame, i rimborsi smart working sono individuati sulla base di parametri volti a quantificare il risparmio conseguito dalla società su costi sostenuti dal dipendente. Dunque, si tratta di costi sostenuti nell’interesse esclusivo del datore di lavoro; pertanto, le somme erogate dalla società a titolo di rimborso smart working non sono imponibili ai fini Irpef.
Fonti: La Legge per Tutti, Mister Fisco, Investire Oggi