LOTTA ALL’EVASIONE FISCALE
PER USCIRE DALLA CRISI

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Notizia di pochi giorni fa che, per far fronte all’aumento del debito pubblico causato dal Covid, l’Inghilterra abbia deciso di alzare le tasse. Secondo il piano preliminare presentato da Rishi Sunak, attuale Cancelliere dello Scacchiere inglese, dal 2023 le tasse sui profitti aziendali superiori alle 250.000 sterline dovrebbero passare dal 19% al 25%.

Questo rappresenta il primo aumento delle tasse sui profitti aziendali in oltre 40 anni. L’Inghilterra è stato il primo dei paesi Europei a muoversi nella direzione di un aumento delle tasse per ridurre il debito pubblico, ma non sarà di certo l’ultimo. Tra i tanti problemi che la politica dovrà affrontare nell’era post-Covid, il ripianamento del debito nazionale è sicuramente in cima all’agenda di quasi tutti i governi mondiali.

Per capire l’entità del problema, guardiamo alla situazione italiana. Pensiamo all’Italia come a una grandissima impresa la cui funzione primaria è quella di fornire servizi (trasporti, scuola, sicurezza, ect). I ‘clienti’ dell’impresa Italia sono i cittadini che pagano le tasse per usufruire dei servizi. Nel tempo, l’impresa Italia ha speso molto di più di quanto ha incassato. Per l’esattezza, per ogni 100 euro di incassi nel 2020 l’Italia ha speso 111 euro. Per far fronte a questo disavanzo tra entrate e uscite, l’impresa Italia ha dovuto prendere dei prestiti che, a oggi, ammontano a circa il 160% del suo fatturato annuo.

Se da un lato i prestiti ricevuti permettono all’impresa Italia di evitare il fallimento e di continuare a erogare i servizi che tutti noi usiamo, dall’altro c’è una necessità immediata per il governo di stilare un piano di rientro del debito.

L’urgenza dipende molto dalla situazione in cui ciascun paese si trovava già prima del Covid. L’aumento del debito, infatti, non ha risparmiato nessuno ma rappresenta un problema significativamente più grave per tutti quei paesi che già nel 2019 avevano un livello di debito elevato. L’Italia, purtroppo, rientra tra questi paesi.

Con il secondo debito pubblico più alto d’Europa (fa peggio di noi soltanto la Grecia), l’Italia si trova costretta ad agire rapidamente per limitare i danni che potrebbero derivare da un livello d’indebitamento giudicato insostenibile di mercati.

La situazione attuale impone dunque una riflessione circa i possibili interventi che il governo Draghi potrebbe mettere in atto nei mesi a venire. Un Commissario straordinario chiamato a rimettere in sesto le casse di una vera azienda procederebbe in due direzioni: riduzione dei costi e aumento dei prezzi dei servizi essenziali.

A differenza delle imprese, tuttavia, questi interventi sono difficilmente attuabili per un paese come l’Italia. In primo luogo, per tagliare i costi il governo dovrebbe licenziare un gran numero di dipendenti pubblici. Con una disoccupazione nel 2020 pari al 9% (che sfiora il 30% se guardiamo ai giovani del nostro Paese) un intervento volto ad aumentare ancora di più il numero dei disoccupati avrebbe l’effetto inverso. Quello che lo Stato risparmierebbe di stipendio lo spenderebbe di cassa integrazione (senza contare i minori introiti a livello tributario causati dai minori acquisti effettuati dalle persone che hanno perso il lavoro).

Al contempo, l’aumento dei prezzi si tradurrebbe in maggiori tasse per i contribuenti e questo non è un percorso praticabile. Secondo gli ultimi dati della Banca d’Italia, nell’Eurozona, solo tre Paesi (Francia, Austria e Belgio) hanno una pressione fiscale superiore a quella italiana. Anche se la larga maggioranza a sostegno del governo Draghi permetterebbe di varare una manovra tesa ad aumentare le tasse, un qualsiasi intervento in questa direzione taglierebbe le gambe ad una qualsiasi possibilità di ripresa economica.

Cosa fare allora? Le parole d’ordine devono essere due: utilizzo dei fondi del recovery fund e riforma del sistema tributario. Se un corretto uso delle risorse messe a disposizione dell’Europa attraverso il piano Next Generation EU può dare un forte slancio all’economia, la riforma del sistema tributario garantirebbe un aumento delle entrate fiscali senza andare ad aumentare le tasse.

Su questo ultimo punto, un’eventuale riforma dovrebbe essere improntata sul rispetto del principio di proporzionalità dei tributi, sulla certezza dell’esecuzione e sulla lotta all’evasione fiscale. Tutto questo non sarà possibile se non si interverrà sul sistema tributario nel suo complesso.

Questa opinione sembra essere condivisa dallo stesso premier Draghi il quale, nel suo intervento per la fiducia, ha dichiarato “Nel caso del fisco […] non bisogna dimenticare che il sistema tributario è un meccanismo complesso, le cui parti si legano una all’altra. Non è una buona idea cambiare le tasse una alla volta. Un intervento complessivo rende anche più difficile che specifici gruppi di pressione riescano a spingere il governo ad adottare misure scritte per avvantaggiarli”.

Le intenzioni sembrano buone. Speriamo che alle parole seguano presto i fatti.

Forte: HuffingtonPost

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Salvatore e Carlo Iadevaia

Dottori Commercialisti e Revisori dei Conti
Fondatori dello Studio Iadevaia

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